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domenica 12 giugno 2011

La storia è qui e non ci ha insegnato nulla. (parte prima)


foto di Semi di Libertà, semi di girasoli lasciati davanti al Padiglione Cina, per ricordare Ai Weiwei

A caldo la prima sensazione che si fa forte ma che necessita di un tempo di decantazione per essere assorbita e filtrata.

Queste le mie impressioni della 54 Biennale di Arti Visive, un fantastico tsunami di opere che si è distribuito sulla città di Venezia.

Un’ onda che aumenta il sedimentarsi di lavori artistici in una città che già è meravigliosamente stratificata d’arte.

Si conferma questo tempo strano fra crisi e sovrapproduzione.

Se la grande vastità è un segno positivo, risulta però spesso difficile potersi avvicinare all’operato artistico in questo magma di tasselli di un mosaico sconosciuto.

L’intensa agitazione dell’uomo nel voler a tutti i costi produrre rende distante e vano il capire l’eventuale senso di questo fare.

Sicuramente questa edizione della Biennale manifesta che, se manca una capacità di filtro, diventa difficile dare un giusto “senso” alle cose, poterle conoscere o riconoscere.

Perfetto quindi il Padiglione Italia dove in un’osmosi di opere alla fine non si ricorda nulla, se non una grande immagine astratta di piccoli pixel con ansia di partecipazione.

Questa percezione poi si amplia alla totalità degli eventi, in particolare quelli di matrice cino-asiatica. Solo nei casi di una curatela e in rare personali si è potuto distinguere qualcosa, tentare di capire se dietro a tutto queste cose c’è casualità o senso.

Così si conferma interessante l’ennesima mostra della collezione Axel Vervoordt Foundation a Palazzo Fortuny. La bella personale di Enrico David a Palazzo Tito della Fondazione Bevilacqua La Masa. Una ricercata mostra su Riccardo Schweizer alla Querini Stampalia e quella dedicate a Ileana Sonnabend dalla Fondazione Peggy Guggenheim. Ma anche la giovanile “Future Generation Art Prize @ Venice” a Palazzo Papadopoli nella sua selezione tocca momenti di piacevole contemplazione.

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