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giovedì 9 giugno 2011

Riflessioni personali su “ILLUMInazioni”




Passate alcune giornate dall’intenso girare per la Biennale e i tanti eventi, eccovi le mie impressioni su questa grande rassegna, divise per eventi, mostre, rassegne.

Iniziamo subito col progetto di Bice Curiger, curatrice della Biennale di quest’anno.

La curatrice, forse col suo spirito giornalistico sviluppato con la pubblicazione Parkett e nota per i suoi multipli artistici, ha proposto una visione alquanto moderata e superparte.

L’idea di porre a tutti i partecipanti al progetto 5 interrogativi: «Dove ti senti “a casa”? Il futuro parla in inglese o in quale altra lingua? La comunità dell’arte è una “nazione”? Quante nazioni senti dentro di te? Se l’arte fosse una nazione, cosa ci sarebbe scritto nella sua Costituzione?» alla fine ha fatto uscire una monotona risposta che ha preso forma in una rassegna espositiva un poco noiosa.

Le risposte, anche se differenti, sono state banali e un pochino datate, soprattutto rispetto a certe proposte viste nei padiglione dei paesi partecipanti. Oltre ad un certo numero di fuori tema. Ma cerchiamo di vedere gli aspetti più interessanti.

La parte dell’Arsenale mi è parsa riuscita meglio in particolare l’opera di Monica Bonvicini, con i suoi rialzi a specchio danneggiati, simili forse a luoghi di decollo o punti da cui precipitarsi, e di Urs Fisher, con due sculture che lentamente vengono bruciate e consumate dal tempo.

Queste due opere sono le più interessanti, sia per come sono state realizzate sia per il loro buon allestimento e hanno avuto una resa piena.

Il premiato a Christian Marclay con "The Clock", essendo già stato visto alla White Cube l’autunno scorso, non mi è parso così innovativo.

Sicuramente meglio dei tanti video, che quest’anno hanno avuto un grande ritorno, proposti come sempre in questi contesti che risultano dispersivi.

Ho apprezzato anche l’opera di Elisabetta Benassi e l’intervento del Para-padiglione Song-Dong.

Il resto è scivolato via senza lasciare particolare ricordi e attenzione, tanti manufatti privi di fascino o almeno di interesse.

Questo mi ha fatto pensare alle poesie raccolte in “Illuminazioni” di Arthur Rimbaud.

Alle sue visioni trasfigurate, fra l’oscuro e surreale, a una forma di veggenza fanciullesca su un prossimo futuro ma che qui è già tanto in odore di passato.

Siamo in un periodo di mutazione, soprattutto si nota un cambiamento dei valori, in cui l’artista non è più vate ma sismografo che segnala col suo lavoro i mutamenti e le trasformazioni del presente ri-interpretandolo in una chiave emozionale-estetica a volte con elucubrazioni culturali.

Ma in questa rassegna tutto pare in ritardo rispetto alla realtà del mondo presente.

La parte del Padiglione dell’Esposizione presso i giardini mi è parsa invece molto brutta nel suo complesso, a parte i tre Tintoretto, inseriti in modo poco significativo rispetto alle opere di corollario, che perdono comunque in questo confronto storico.

Qui è difficile salvare qualcosa che vado oltre al semplice essere un oggetto, a volte anche da osservare ma raramente da ricordare.

Salvo l’intervento Padiglione di Monika Sosnowska per la sua dinamica dello spazio che contrasta con la noia dell’intero luogo.

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